Cosa ci immaginiamo quando pensiamo alla montagna? Molto probabilmente le prime suggestioni che ci vengono in mente sono paesaggi incontaminati, valli incantate, acqua cristallina e aria pura, cibo genuino, tradizioni immutate nel tempo, oppure bianche piste da sci e conquista sportiva di alte vette. O meglio ancora, a chi non salta in mente Heidi?
La brevissima lista che ho appena fatto altro non è che una serie di rappresentazioni e simboli radicati nell’immaginario di ognuno di noi, stereotipi che usiamo più o meno consapevolmente quando parliamo dell’ambiente alpino. Abbiamo infatti tutti, o almeno la maggior parte di noi, un’idea di montagna legata a un immaginario “romantico”, mitico e idealizzato.
Le “terre alte” sono in realtà molto altro: asperità, marginalizzazione, ostacoli, ma anche progetti creativi, innovazione e apertura verso l’esterno.
Ma andiamo per ordine. Per “trovare” la montagna oltre gli stereotipi occorre fare un passo indietro e capire l’origine e le motivazioni che si nascondono dietro dietro questi luoghi comuni.
- L’origine dello stereotipo alpino
- L’esplosione del turismo: la montagna come oggetto di consumo
- La montagna oltre lo stereotipo: restituire centralità al mondo alpino
- Per saperne di più…
L’origine dello stereotipo alpino
L’immaginario della montagna contemporanea è il prodotto di una visione urbana esterna al territorio alpino, che semplifica o tipizza uno scenario. Come illustra Mauro Varotto nel saggio Oltre gli immaginari dicotomici: spazi di relazione e inversione dello sguardo, contenuto nel volume Metromontagna. Un progetto per riabilitare la montagna, le terre alte sono sovente descritte come un luogo di pace e tranquillità, contrapposto alla frenesia della vita cittadina e al suo smog: sulle Alpi possiamo trovare una natura idilliaca, delle vallate in cui riscoprire una vita “autentica”, fedele alle tradizioni e immutata nel tempo.
Troviamo in queste suggestioni il mito di Heidi, in cui la montagna virtuosa, semplice arcadia rassicurante, come definita da Marco Albino Ferrari, si contrappone alla città corrotta. Tale contrapposizione nasce nel Settecento, il secolo delle scoperte illuministiche e delle prime spedizioni scientifiche sulle Alpi, in cui si è affermata la supremazia delle capitali sulle periferie e, quindi, della città sulla montagna.
In seguito, il Romanticismo ha trasformato le Alpi in un rifugio della spiritualità, contrapponendo il buon selvaggio al cittadino vizioso. Emblematico è il seguente passaggio tratto dal romanzo epistolare Giulia o la nuova Eloisa di J.J. Rousseau:
Sulle alte montagne […] l’aria è pura e sottile, la respirazione è più agevole, il corpo più agile, lo spirito più sereno, i piaceri meno ardenti, le passioni più moderate. Le meditazioni assumono lassù non so che carattere grande e sublime, proporzionato agli oggetti che ci colpiscono […]. Si direbbe che, alzandosi al di sopra del soggiorno degli uomini, ci si lascino tutti i sentimenti bassi e terrestri e che, a mano a mano che ci si avvicina alle regioni eteree, l’anima sia toccata in parte dalla loro inalterabile purezza! (J.J. Rousseau, Giulia o la nuova Eloisa, BUR, 2015, p. 89).
La montagna diventa così il luogo del pittoresco e della divinità, uno spazio nettamente separato da tutto ciò che la circonda, in cui è possibile trovare e celebrare lo stato originario di natura, cultura e tradizione.
L’esplosione del turismo: la montagna come oggetto di consumo
Nel corso dell’Ottocento la borghesia “scopre” la villeggiatura e le mete preferite diventano i paesaggi naturali e le vallate alpine. Ma è durante il periodo della Belle Époque che avviene la metamorfosi turistica delle Alpi.
Come ben spiega Antonio De Rossi nel libro La costruzione delle Alpi. Il Novecento e il modernismo alpino (1917-2017), durante il secolo breve si ha una vera e propria esplosione del turismo, con i suoi processi di infrastrutturazione e urbanizzazione: nascono le stazioni invernali con gli impianti di risalita, si costruiscono nuovi edifici e nuove strade, su cui sfrecciano rombanti automobili. Le nuove infrastrutture diventano simbolo di modernità, creando una nuova civilizzazione d’alta quota, strettamente legata alla città di stampo fordista.
Si afferma così lo stereotipo delle “Alpi ludiche”: la montagna diventa un playground alpinistico, turistico e ricreativo delle economie del tempo libero. La montagna diventa il luogo dei “no limits”, della massima espressione di sé coniugata con il divertimento, lo sport e la performance atletica. La montagna, svuotata dei suoi significati e delle persone che per secoli l’hanno abitata, diventa un semplice sfondo per esperienze turistiche: per sopravvivere, il territorio montano è costretto ad adeguarsi al modello economico del turismo massificato.
Se da un lato troviamo le stazioni invernali riempirsi di cittadini e turisti, dall’altro si assiste infatti allo spopolamento graduale delle località circostanti, con il conseguente abbandono delle valli alpine e il declino dei modi di vivere che per secoli hanno caratterizzato le Alpi. La montagna si inselvatichisce, le dimore permanenti si trasformano in temporanee, l’agricoltura di montagna viene abbandonata in favore di quella intensiva a fondovalle.
La montagna oltre lo stereotipo: restituire centralità al mondo alpino
Abbiamo visto come a partire dal Settecento le Alpi siano diventate delle appendici del centro, un terreno di esplorazione e di gioco dei nuovi ceti produttivi che hanno svuotato la montagna dei suoi significati e della sua popolazione.
Gli stereotipi e i processi di costruzione culturale sopra illustrati hanno omologato l’immaginario turistico contemporaneo, in cui la montagna diventa uno scenario semplificato e totalmente estraneo al mondo montanaro. Una vera e propria colonizzazione e riorganizzazione del territorio alpino, che viene svuotato e in seguito riempito da un nuovo assetto socio-economico.
Per pensare ad una montagna oltre gli stereotipi occorre prima di tutto recuperare il concetto di spazio pieno: la montagna, prima della colonizzazione urbana, era uno spazio già occupato. Per comprendere le terre alte bisogna infatti acquisire la consapevolezza della specificità e complessità delle terre alte e il ruolo centrale del montanaro.
Le Alpi sono state infatti territorio di vita, lavoro, scambio e innovazione; la particolarità dell’ambiente, con le sue asperità, ha fatto nascere soluzioni, comportamenti e pratiche originali, che ben potessero adattarsi alle condizioni locali.
Compreso ciò, occorre fare un altro passo in avanti e guardare alle terre alte “come spazio dell’opportunità, […] in forte intreccio con i saperi, le competenze, i mercati, le innovazioni delle città” (F. Barbera e A. De Rossi, Metromontagna, un progetto per riabilitare l’Italia, Donzelli, 2021, p. 19).
Solo tornando a far dialogare e mettendo a sistema città e montagna, lavorando per obiettivi condivisi e coinvolgendo le comunità locali, è possibile costruire e individuare le soluzioni migliori di gestione e amministrazione di questi territori. Occorre infatti che le politiche (culturali, economiche, imprenditoriali) superino le rappresentazioni urbane della montagna per connettere e integrare le rispettive dimensioni e funzioni.
Al di là delle grandi politiche, ognuno di noi può fare la propria parte. Prima di tutto essere curiosi rispetto all’ambiente che stiamo frequentando. E poi prendersi il tempo per saperne un po’ di più, per esplorare più in profondità, per ascoltare e domandare, per camminare in luoghi forse meno famosi e gettonati sui social ma altrettanto belli e ricchi di storie. Arricchiremo le nostre conoscenze e acquisiremo maggiore consapevolezza e uno sguardo diverso, scoprendo prospettive a volte inaspettate ma non certo meno gradite.
Per saperne di più…
Varotto M., Montagne di mezzo. Una nuova geografia, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2020.
7 Comments
Riecheggiano ricordi di studi letterari universitari ❣️
Decisamente! 😉
[…] di uno sguardo esterno a essa, di una popolazione urbana che ha dato origine a stereotipi e semplificazioni, immagini reiterate ed estranee alla montagna […]
[…] è inoltre importante capire cosa significhi vivere nelle terre alte e cos’abbia comportato il turismo montano, sia nei suoi aspetti positivi che […]
[…] e, dall’altro, a grandi comprensori sciistici e luoghi di performance sportiva. Entrambi sono stereotipi della montagna che hanno dapprima svuotato le Alpi (sia in termini di popolazione che di significati e valori) e […]
[…] stiamo per vivere, più possiamo adottare nuovi comportamenti e nuove soluzioni. Oltrepassare gli stereotipi della montagna e uscire dalla logica del consumo sfrenato è il primo importante passo che ognuno di noi può […]
[…] Gli stereotipi che descrivono il mondo delle terre alte sono molti e, per quanto accattivanti da un punto di vista pubblicitario e di marketing, non fanno bene né a questi territori né a noi. Ragionare per stereotipi e luoghi comuni, infatti, tende a creare una visione parziale e distorta di un territorio che è fatto invece di tante sfumature naturali, sociali e culturali. […]