“Montagna incontaminata”, “natura incontaminata”: quante volte leggiamo queste parole in articoli, brochure, annunci, post, commenti ? L’aggettivo “incontaminato” è uno dei più frequenti quando ci troviamo a dover descrivere un ambiente montano e, molto probabilmente, è anche uno dei primi che ci viene in mente quando pensiamo alle terre alte. Ma siamo sicuri che ciò corrisponda a realtà oppure non sia altro che uno dei tanti luoghi comuni legati alla montagna?
Gli stereotipi che descrivono il mondo delle terre alte sono molti e, per quanto accattivanti da un punto di vista pubblicitario e di marketing, non fanno bene né a questi territori né a noi. Ragionare per stereotipi e luoghi comuni, infatti, tende a creare una visione parziale e distorta di un territorio che è fatto invece di tante sfumature naturali, sociali e culturali.
La narrazione di una montagna incontaminata, ha radici profonde nella nostra società e cultura. Questa visione risale infatti al processo di riscoperta delle Alpi, iniziato nel Settecento e giunto al suo culmine nel periodo Romantico e durante tutto l’Ottocento, quando le montagne sono diventate oggetto di contemplazione e silenzio, luogo del sublime, in una visione estetizzante e totalizzante. Una visione e una narrazione che separavano nettamente le terre alte dalla città: se quest’ultima, infatti, era il luogo della corruzione, del degrado sociale e morale, dell’insalubre, le montagne erano all’opposto luogo di coinvolgente bellezza, di purezza, di elevazione spirituale.
Ancora oggi subiamo il fascino della visione di una montagna incontaminata, lontana e separata dalla vita di città, in cui sopravvivono l’autentico e il tipico e dove trovare rifugio dallo stress. Essa, però, ha di fatto cancellato le specificità e i vari elementi socioculturali che caratterizzano le terre alte. Nell’immaginario comune, infatti, montagna e città sono due mondi contrapposti, dove la montagna è rimasta immobile, sempre uguale a se stessa, nel suo ruolo di contenitore di esperienze autentiche, rivitalizzanti e rigeneranti.
Sebbene in età moderna le aree montane siano di fatto rimaste ai margini dello sviluppo industriale, alimentando così false credenze che vedono una montagna arretrata e isolata, storicamente le Alpi sono stati territori fortemente vissuti, attraversati e trasformati. Per lungo tempo, e in particolare durante il Medioevo grazie ad una condizione di optimum climaticum, sono state crocevia di genti, mercanti, eserciti, pellegrini, persone comuni, in un dialogo continuo e costruttivo tra la pianura e le terre alte. Le montagne, quindi, come spazio di relazione, comunicazione e connessione.
A tutto ciò si aggiungono gli effetti dell’inquinamento e del cambiamento climatico. Se “incontaminato” significa “puro, intatto”, le Alpi sono ben lontani dall’essere così intatti e puri. Esse sono infatti considerate climate change hotspots, ovvero territori che si stanno riscaldando molto più rapidamente rispetto ad altri: ricostruzioni del clima delle Alpi, infatti, evidenziano un trend di aumento delle temperature di circa tre volte superiore a quello medio globale. Pensiamo poi alle microplastiche trovate nei ghiacciai, da sempre simbolo di purezza e ora invece testimoni dell’impatto dell’uomo sull’atmosfera.
Proprio per questo motivo non possiamo considerare la montagna come un luogo incontaminato e de-antropizzato. Da un punto di vista socioculturale, per secoli i montanari hanno vissuto adattandosi alle difficili condizioni pedoclimatiche delle terre alte, plasmando il territorio e il paesaggio: pensiamo ai tanti muretti a secco e ai terrazzamenti che costellano le nostre montagne, Alpi e Appennini, all’utilizzo dei boschi, alle attività di allevamento e ai pascoli alpini, o ai canali di irrigazione. Inoltre, gran parte dei sentieri che noi oggi percorriamo nelle nostre escursioni sono frutto del lavoro e delle necessità di chi abitava in quei territori. Una fitta rete che metteva in comunicazione paesi e borgate, pascoli, vallate, persone.
Abbiamo bisogno di una nuova narrazione della montagna, una narrazione da costruire prima di tutto nella nostra mente e nei nostri sguardi. Oggi più che mai, abbiamo bisogno di una visione e di un approccio che metta in comunicazione pianura e terre alte, in uno scambio di saperi e competenze finalizzato al miglioramento delle condizioni di vita di tutti e alla tutela degli ecosistemi.
La “vera” esperienza è saper cogliere similitudini e diversità, è imparare a vedere e conoscere i luoghi che stiamo attraversando, allontanandosi da pregiudizi e luoghi comuni, senza nulla togliere alle emozioni e alle sensazioni che proviamo quando camminiamo in un bosco o scaliamo una cima.
Per chi volesse approfondire, consiglio la lettura di questi due libri:
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[…] a quello medio globale. Come avevo già menzionato in un articolo precedente, dedicato alle narrazioni distorte della montagna, i territori alpini sono considerati climate change hotspots, ovvero aree particolarmente colpite […]
[…] delle terre alte, le Alpi in particolare (ne ho parlato sul blog in più articoli, dalla “montagna incontaminata” agli stereotipi ad essa legata). Storicamente, infatti, la verticalità della montagna è […]
[…] suona famigliare? Quante volte leggiamo o parliamo di “montagna incontaminata e selvaggia“? Saliamo in quota e cerchiamo ancora il sublime, con il nostro sguardo vediamo le guglie […]
[…] di queste specie botaniche sia strettamente legato alla corretta pratica dello sfalcio dei prati: se a prima vista questi ambienti possono apparire “incontaminati”, in realtà sono il frutto della combinazione di fattori ambientali, climatici e […]