Sono nata e cresciuta all’ombra di Punta il Villano. Situata nel cuore del Parco Naturale Orsiera Rocciavrè, in Valle di Susa, è una cima che da casa non riesco a vedere, nascosta da altre montagne: occorre allontanarsi un po’ per iniziare a scorgerla, quasi come se volesse nascondere la sua bellezza a occhi indiscreti. Per anni ho ignorato il suo nome, ma non ho mai potuto fare a meno di ammirarla da lontano ogni volta ne avessi l’occasione, ammaliata dalla sua elegante imponenza.
La sua presenza costante non mi ha mai abbandonato e da quando, alcuni anni fa, ho iniziato a camminare in montagna è nato in me il desiderio di raggiungere la sua vetta. Aprivo la carta topografica e tracciavo con il dito i sentieri per raggiungerla, studiando l’itinerario migliore e più appagante, immaginando paesaggi, pendii, creste e rocce. Da timida fantasia, col passare del tempo si è trasformata in una brama sempre più ardente. Fino al giorno in cui il sogno è diventato reale.
È tardo autunno. Con il mio compagno e due amici decidiamo di salire a Punta il Villano. Sono le ultime giornate in cui ci sono ancora abbastanza ore di sole per percorrere l’intero itinerario e in cui il sentiero è praticabile. Presto infatti l’inverno ricoprirà le montagne con il suo manto niveo e ci avvolgerà nell’ombra.
Partiamo alle 4 del mattino, nell’abbraccio della notte. Lasciamo le auto al casotto Fumavecchia, nel comune di Villar Focchiardo: da lì seguiamo il breve e facile sentiero per Pian dell’Orso, poi proseguiamo lungo il Vallone del Sangonetto per raggiungere il Colle del Vento. Lungo il percorso, intravediamo i primi chiarori nel cielo, col il blu denso della notte che sfuma verso colori caldi e dorati. Le luci delle frontali sono ora inutili e spegnerle ci permette di godere appieno di questa silenziosa meraviglia. Arrivati al colle, le montagne di fronte a noi si tingono di un delicato colore rosaceo: maestose e solenni, si stagliano le ardite vette rocciose di Punta il Villano, Punta Pian Paris, Punta Malanotte e Punta Cristalliera. Nonostante siano le montagne di “casa”, che tutti noi quattro abbiamo visto, ammirato (e qualcuno tra noi anche scalato) più e più volte, non riusciamo a trattenere l’emozione davanti a un simile spettacolo. I toni del rosa sembrano addolcire tanta austerità, un contrasto che ai nostri occhi rende queste montagne ancora più belle.
Dopo una breve sosta per la colazione, riattacchiamo il sentiero. Siamo solo all’inizio dell’itinerario concordato, e ci aspettano ancora molte ore di cammino. Dal Colle del Vento, scendiamo ripidi verso il Lago Rosso, nel Vallone del Gravio, e ritorniamo nell’ombra. Bisogna camminare un bel po’ e risalire pazienti fino al Pian delle Cavalle per essere nuovamente accarezzati dai raggi del sole. Qui si rinnova la meraviglia della luce: la vegetazione e le rocce sono ricoperte dalla brina autunnale e brillano nel sole. Impossibile non soffermarsi a osservare questo spettacolo naturale, di una bellezza tanto semplice quanto magica.
Stiamo attraversando un ambiente naturale che agli occhi più distratti può apparire monotono e noioso, ma questa prateria alpina porta i segni di un passato non troppo lontano fatto di pascoli in alta quota e duro lavoro. Custoditi tra le balze rocciose, si possono ancora vedere i ruderi di un vecchio alpeggio, sapientemente costruito in legno e pietra e ora memoria silenziosa di laboriosa vita alpina.
Alziamo lo sguardo. Punta il Villano sembra lì vicino, pare quasi poterla toccare. È solo un miraggio, il sentiero che porta alla sua sommità è ancora piuttosto lungo. Ci voltiamo e osserviamo la strada già percorsa, il Colle del Vento è distante da noi. I primi segni di stanchezza cominciano a farsi sentire, così ci fermiamo nuovamente per una breve pausa e mangiamo qualcosa per recuperare un po’ di energia. Ripartiamo, occorre ora raggiungere la Porta del Villano, il colle che separa il Vallone del Gravio da quello del rio Gerardo. Il sentiero non presenta particolari difficoltà e procediamo tranquilli tra chiacchiere e risate, riuscendo a scorgere in lontananza dei camosci.
La stanchezza, tuttavia, non perdona: il mio compagno rimane indietro e decide di fermarsi al colle. Nonostante alla cima ora manchi davvero poco, l’ultimo tratto è il più impegnativo e richiede concentrazione e una buona dose di energia. Rinunciare arrivato a questo punto del percorso, a circa trenta minuti dalla vetta, può apparire sciocco, arrendevole, ma in montagna le regole del gioco sono diverse. Molto spesso, infatti, rinunciare significa evitare brutti incidenti. E poi, in fondo, sono le montagne a decidere per noi, a concederci il permesso di salire sulle loro cime: fermarsi significa anche ascoltarle e rispettarle.
All Porta del Villano ci godiamo per qualche istante il calore del sole e scorgiamo un gruppo di stambecchi, tra cui alcuni cuccioli. Non è raro incontrare questi animali nel Parco e soprattutto in queste zone meno frequentate, ma ogni volta nasce in noi un sentimento di gioia misto a stupore. Li osserviamo come se fossimo dei bambini che vedono qualcosa per la prima volta, con la meraviglia negli occhi.
Rimasti in tre, attacchiamo l’ultimo tratto di sentiero. Lentamente, risaliamo un ripido canale e raggiungiamo infine la cima di Punta il Villano con qualche facile passo di arrampicata, dopo oltre sei ore di camminata. Vedere e toccare la croce di vetta provoca in me un sentimento di grande gioia e soddisfazione. Finalmente, dopo tanto sognare, programmare e immaginare, sono qui, in cima a questa montagna così bella, dall’inconfondibile profilo severo ed elegante. Quasi non mi rendo conto di essere lassù, ad ammirare un panorama che spazia su tutta la Valle di Susa e sulle montagne circostanti, spingendosi fino al Monviso, al Gran Paradiso e al Monte Rosa. Tuttavia, una nota amara si contrappone alla felicità. Una parte di me, infatti, è rimasta alla Porta del Villano e il pensiero va al mio compagno, che avrei tanto desiderato con me in vetta, dopo mesi a sognare e progettare insieme questa escursione.
Dalla cima scatto solo due foto, sono come stordita, e preferisco assaporare il momento senza il filtro del mirino della macchina fotografica. Le immagini più belle sono quelle impresse nella mia memoria e nella mia anima, fatte di emozioni, fatica, impegno, risate, condivisione e tanta soddisfazione. Nessuno scatto potrebbe rendere giustizia al turbinio di sensazioni provato in quel momento e alla bellezza e alla grandiosità del panorama.
Non ci dilunghiamo troppo in cima, il pensiero di tutti è al colle, dove ci sta aspettando paziente il mio compagno. Scendiamo però lentamente, con attenzione, e superiamo questo tratto alpinistico senza problemi. Durante la discesa siamo accompagnati dai cuccioli di stambecco, che saltano agilmente da una roccia all’altra, incuranti del vuoto e perfettamente a loro agio. Li guardiamo con un po’ di invidia e in confronto a loro ci sentiamo goffi, impacciati, sgraziati.
Un po’ dopo il colle ritroviamo il mio compagno, che nel frattempo ha intrapreso la via del ritorno con calma per non farci perdere troppo tempo durante la discesa. Gli raccontiamo dell’ultimo pezzo di salita, della cima, del panorama, ma le parole non riescono a esprimere del tutto ciò che abbiamo vissuto. E non ho nemmeno troppa voglia di raccontarglielo, mi sembra di fargli pesare il fatto che io ho raggiunto la vetta e lui no, anche se so perfettamente che non prova invidia o gelosia alcuna, ma solo contentezza per ognuno noi tre.
Durante la discesa ogni tanto mi volto a guardare Punta il Villano, piano piano, con la fatica che si sta accumulando nelle gambe, sto realizzando di essere salita fin lassù e non posso fare a meno di sorridere felice.
Ritorniamo a Pian delle Cavalle poi al Lago Rosso; da qui, scendiamo lungo il Vallone del Gravio compiendo così un itinerario ad anello che ci risparmia la ripida e massacrante risalita al Colle del Vento. Passo dopo passo, il paesaggio cambia e dalle praterie alpine ci immergiamo nei boschi di larici, dai vididi toni aranciati. Accanto a noi scorre il rio Gravio, che con con il suo allegro chiacchiericcio accompagna il nostro cammino verso valle.
Siamo ora avvolti dalla nebbia, Punta il Villano si nasconde, sparisce alla nostra vista. La realtà è come sospesa e la mente si chiede se tutto ciò che oggi ho vissuto sia accaduto veramente. La montagna riappare, poi scompare nuovamente, pare giocare a nascondino con noi, insinuando il dubbio e acuendo questo senso di illusorietà.
Superiamo l’Alpe Mustione, con i vecchi alpeggi in pietra, e ci addentriamo in un bosco che pare uscito dalle fiabe, composto principalmente da larici e abeti bianchi. In breve tempo raggiungiamo il rifugio GEAT Val Gravio, ormai manca davvero poco al termine dell’escursione e non vediamo l’ora di arrivare alle Grange di Montebenedetto, dove altri amici ci aspettano per un lauto (e tardivo) pranzo. Nonostante la stanchezza, i piedi scendono sicuri e veloci lungo il sentiero, che ci porta, nell’ultimissimo tratto, ad attraversare un’incantevole faggeta.
Intravediamo tra i rami le case delle Grange e udiamo le voci di chi ci sta aspettando. Ci accolgono allegri e gioiosi, rigorosamente con un bicchiere di buon vino in mano per festeggiare l’impresa.
Prima di entrare in casa e assaporare il meritato pranzo in festosa compagnia, mi volto un’ultima volta, con rispetto e ammirazione, per guardare Punta il Villano. Sorrido alla montagna, la ringrazio, sentendomi intrinsecamente legata a lei. E da oggi, ancora di più.
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[…] i resti di un antico alpeggio e da dove si può avere una bellissima prospettiva del profilo di Punta il Villano. Attraversato l’ampio pianoro, riprendo la salita e vengo sorpresa dalla vista di diversi […]