Che cos’è la lentezza e quali meccanismi mette in moto? A cosa servono le vie lente e le reti ciclabili di lunga distanza? Come si progettano? Sono queste alcune delle tante domande e questioni a cui Paolo Pileri, professore del Politecnico di Milano presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani e responsabile della progettazione della via cicloturistica Vento, risponde nel suo libro Progettare la lentezza. Un testo che ho avuto la fortuna di scoprire durante le ricerche per la mia tesi universitaria e di cui ho apprezzato appieno ogni singola pagina.
Uscito nell’estate del 2020, in piena ondata Covid-19, il libro di Pileri si apre con una riflessione sul nostro attuale stile di vita, incentrato interamente sulla velocità e su come questa pandemia abbia in molti di noi insinuato e dubbi e messo in discussione la normalità a cui eravamo abituati. Rinchiusi nelle nostre case, abbiamo riscoperto la necessità di stare all’aria aperta, di camminare, di pedalare.
Riappropriarsi del tempo: velocità vs lentezza
Pensiamoci bene. Siamo assillati dalle notifiche sui nostri smartphone, viviamo costantemente connessi alla rete, corriamo da un punto all’altro per far quadrare lavoro, famiglia, interessi personali. Una corsa incessante, spesso richiusi nella nostra automobile. E così non ci accorgiamo più di ciò che ci sta intorno, del paesaggio, che diventa una miscela indistinta di colori sfocati, un’immagine di sfondo.
Possiamo però scegliere la lentezza. Sì, perché è la scelta consapevole di andare a una certa velocità, quella del nostro corpo, delle nostre gambe. È la scelta di decidere di trascorrere una vacanza a piedi o in bicicletta, di vivere territori e paesaggi e non più soltanto attraversarli, possibilmente nel minor tempo possibile. E questa scelta ci permette di tornare a dialogare con l’ambiente che ci sta intorno, di scorgere particolari, colori, profumi, sapori, di scoprirne la storia e incontrare le persone che lo abitano.
La lentezza diviene un codice che ci permette di leggere l’ambiente in cui ci inoltriamo, di vederne particolari che con la velocità si fonderebbero assieme. E quel che leggiamo oggi ci serve per la prossima passeggiata, ovvero educa (educĕre = tirar fuori) la nostra abilità percettiva, che è il motore potentissimo grazie al quale “apriamo gli occhi” e ri-conosciamo cose che prima non vedevamo pur sapendo, sulla carta, della loro esistenza. […] Camminare, pedalare, cavalcare, pagaiare diventano allora strumenti piacevoli attraverso i quali impariamo a vedere. E, senza accorgercene, curiamo noi stessi, comprendendo di più quel che siamo e cosa vogliamo e chiediamo a noi stessi.
I benefici della lentezza
Progettare la lentezza e realizzarla correttamente permette di trasformare uno spazio qualsiasi in un luogo. Siamo portati a pensare che i due termini siano sinonimi, ma non è affatto così: uno spazio risponde a uno standard funzionale ed è designato ad assolvere una certa funzione; un luogo, al contrario, pullula di vita e storie.
Le vie lente, quindi, hanno prima di tutto una finalità culturale perché vanno a ricucire gli strappi creati dalla velocità e dall’urbanizzazione riconnettendo territori e svolgendo un importante lavoro di valorizzazione delle cosiddette aree interne e marginali. Il turismo lento è un’opportunità che dobbiamo cogliere tutti per riportare in vita la bellezza dei nostri paesaggi e dei nostri piccoli borghi, per creare nuovi legami tra le persone e gli ambienti attraversati.
I nostri territori sono cosparsi di perle e gemme: boschi, castelli, monumenti, palazzi, antiche mura, piazze, interi borghi, villaggi rurali, cascine, edifici idraulici, alberi monumentali, piantate, filari, chiesette, edicole, basiliche, abbazie, campanili, musei, caserme, cibi, poesie scritte su un muro, teatri, osterie, ponti, pavimenti antichi e via di questo passo. Perle disperse sul piano territoriale come potrebbe essere dispersa una manciata di biglie su un tavolo. Perle che magari in antichità erano legate tra loro da sottilissimi fili che erano sentieri, oggi abbandonati o sopraffatti dall’urbanizzazione.
Progettare la lentezza: progettare con i piedi e i pedali
Progettare la lentezza significa innanzitutto cambiare approccio metodologico. Occorre partire dalle finalità culturali, superare frammentazioni politiche e provincialismi e includere la progettazione in piani organici regionali, o meglio ancora, inter-regionali.
Una via lenta, poi deve rispondere a criteri di bellezza: non è pensabile far passare un cammino o una via ciclabile dietro dei capannoni industriali o accanto a delle discarica, come molto spesso purtroppo accade.
In un Paese come l’Italia, sbilanciato a investire solo nella velocità, occorre creare consapevolezza e formare la politica. Rispetto ad altri Paesi europei, primo fra tutti la Germania, la nostra Pubblica Amministrazione è sprovvista di tecnici che sappiano che cosa siano davvero il cicloturismo e il turismo lento e responsabile. Troppo spesso assistiamo a della mera propaganda commerciale, legata soltanto a finalità economiche e alla vecchia logica del turismo di massa, che all’atto pratico si rivela totalmente priva di sostanza.
Non progettiamo per spostare persone da un punto all’altro, ma per farle viaggiare con tutta la calma che la densità di un viaggio richiede per gustare quel che si vede e incontra per imparare. In questo esatto punto sta la differenza tra turismo e viaggio, tra veloce e lento, tra consumare e vivere. Quel che imparano dipende anche dalla qualità e dalle attenzioni del progetto di lentezza che predisponiamo. Progettare significa mettere a punto un vero e proprio piano pedagogico.
Ridisegnare il futuro
Progettare la lentezza significa quindi costruire linee che dialogano con i territori e le loro forme più o meno sinuose, comprendere i bisogni e le esigenza di chi decide di intraprendere un viaggio a piedi o in bicicletta, creare innovazione culturale. Vivere e occuparsi di questi territori “dimenticati” non è meno importante della vita urbana, ma rappresenta una grande opportunità per lo sviluppo sostenibile e la creazione di economie inclusive, rigenerative e diffuse.
Le cose non avvengono da sole, vanno invece accompagnate innanzitutto da un’energia culturale, da alimentare al fine di far comprendere che abitare quelle terre, occuparsi di quel turismo, godersi quei paesaggi e custodirne le storie è bello e non è un diminuendo della vita urbana. E così gli urbani non devono pensare alle aree interne come grandi parchi gioco aperti h24 dove possono andare a sgambettare o a farsi dei selfie o delle abbuffate per poi tornare in città e ricominciare a disinteressarsene.
Ecco allora che queste vie lente sono l’occasione per tutti per ripensarsi, per ridisegnare progetti di futuro, politici, personali, territoriali, occupazionali. E sopratutto per riscoprire la cooperazione e il dialogo, tra di noi e con i territori che abitiamo.
Progettare la lentezza, Paolo Pileri, People edizioni, 2020, pp. 272.
Per chi desidera approfondire, ecco un’interessante intervista a Paolo Pileri.
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[…] volume all’avventurosa e controversa storia della bicicletta in Italia. Come per il libro di Paolo Pileri, anche questo testo l’ho scovato durante i miei studi e le mie ricerche universitarie, e […]
[…] del territorio, vicino casa oppure in altre regioni. Mezzo ecologico per eccellenza, la bicicletta può aiutarci a far rivivere territori considerati marginali, a ristabilire una connessione con questi luoghi, ricchi di storie che aspettano di essere […]
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