Quando si parla di media montagna spesso si fa riferimento a delle mere misurazioni altimetriche, intendendo con questa espressione una quota compresa tra 600 e 1500 metri. Leggendo invece Montagne di mezzo. Una nuova geografia si scopre che questa definizione, invenzione della modernità, in cui tutto deve essere misurato, classificato, perimetrato e organizzato, non è affatto sufficiente.
In questo interessantissimo libro, edito da Einaudi, Mauro Varotto, docente di Geografia all’Università degli Studi di Padova e coordinatore del Gruppo Terre Alte del Comitato scientifico del Club Alpino Italiano, ci porta a scoprire la ricchezza e la complessità di queste “terre di mezzo”, spesso dimenticate e ignorate.
Montuosità e montanità
Scopriamo così che le montagne di mezzo sulle nostre Alpi sono state le montagne tra le più abitate e addomesticate del mondo, la cui lunga storia di antropizzazione ha portato ad una capillare organizzazione del paesaggio. Queste terre intermedie sono infatti state teatro di intense relazioni sociali ed economiche, laboratori di mediazione con la montuosità, ovvero i difficili aspetti climatici, con l’orografia, la vegetazione.
Varotto introduce così l’importante concetto di “montanità“, fortemente legato alla cultura della montagna: le montagne di mezzo sono il luogo della relazione che l’uomo che le abita instaura con il territorio montano, uno spazio ricavato in maniera dialettica con condizioni fisiche e climatiche che variano di continuo. In questo senso, lungi dall’essere un peso o un ostacolo, questa specificità geografica è stata una vera e propria risorsa per la costruzione di peculiari realtà territoriali.
La montagna di mezzo, inoltre, dialoga con la pianura e con le alte quote, una vera e propria “geografia in movimento“, poiché da sempre l’abitare in queste terre non è di tipo stanziale, ma varia sede a seconda delle stagioni o dei lavori da fare (basti pensare agli alpeggi in quota d’estate).
Montagne di stereotipi
Le montagne non esistono. O meglio, sono il frutto dell’invenzione di uno sguardo esterno a essa, di una popolazione urbana che ha dato origine a stereotipi e semplificazioni, immagini reiterate ed estranee alla montagna stessa.
[…]gli stereotipi più ricorrenti si possono suddividere in due grandi famiglie, solo apparentemente in contrapposizione: quella delle «Alpi romantiche», montagne intese come stato originario di natura e cultura […], e quella delle «Alpi ludiche» […], ovvero il playground alpinistico-turistico-ricreativo delle economie del tempo libero.
Le montagne sono quindi state svuotate dei loro significati e riempite con nuove funzioni e da un nuovo assetto economico, che hanno relegato le Alpi a mero sfondo per esperienze turistiche e performance atletiche.
E le montagne di mezzo? Questi territori intermedi hanno prima subito un forte spopolamento causato dal boom economico della seconda metà del ‘900 e sono state poi dimenticate dall’industria turistica, perché di nessun interesse né per gli impianti da sci, né per le grandi imprese sportive.
Ritorno alla wilderness
È da un bel po’ che si sente parlare di wilderness philosophy e che si guarda di buon occhio l’aumento della superficie boschiva italiana. Ma siamo sicuri che vada tutto così bene?
Il concetto di “natura selvaggia”, o wilderness, è un’invezione che ha origine nel Romanticismo e nel sentimento del sublime. La natura “incontaminata e selvaggia” diventa così qualcosa di sacro, da celebrare e tutelare. Oggi la wilderness rappresenta ancora lo spazio del sublime, il luogo di avventure e svago nel tempo libero, ben separato e distante dalla vita urbana.
La wilderness […] è una delle chiavi di volta attorno al quale ruota il lato oscuro e dimenticato della modernizzazione: l’avanzata della copertura forestale nella montagna italiana ed europea nel corso del Novecento, lungi dall’essere il segno di una crisi della modernità, ne è la quintessenza o, se si preferisce, il dono avvelenato.
L’inselvatichimento delle montagne di mezzo è causa diretta del loro abbandono di case e terreni, è il segno evidente di una perdita non solo di abitanti ma di saperi e conoscenze, attività produttive e nicchie ecologiche. La riforestazione naturale comporta una serie di problemi, in particolare legati alla perdita di biodiversità, all’instabilità idrogeologica dei versanti e all’incremento del rischio di incendi. Basti pensare ai numerosi terrazzamenti presenti in tutte le nostre montagne e ora molto spesso in rovina: usati per le colture, essi hanno da sempre svolto un’importante funzione di contenimento idrogeologico.
Ritorno alle montagne di mezzo
Quale futuro dunque per per queste terre dimenticate? Gli ultimi anni hanno visto un ritorno alle montagne di mezzo, che stanno pian piano diventando nuovi laboratori di sperimentazione, in cui si restituisce centralità al mondo alpino (e appenninico).
Se i passati modelli dominanti hanno spopolato la montagna e ne hanno sfruttato eccessivamente le risorse, ora si fa strada una nuova idea di territorio, in cui si pone nuovamente al centro la cura dei luoghi e l’abitare, riconoscendone le diversità culturali e le specificità ambientali.
Le montagne di mezzo ritornano così ad essere veri e propri spazi di vita, in cui si mettono in pratica nuovi modelli di gestione e sviluppo. Questi territori “speciali”, tuttavia, necessitano di politiche adeguate, che sappiano comprendere le peculiarità di questi luoghi e che sostengano concretamente questi progetti di ritorno.
A noi turisti, si chiede di essere “al servizio della montagna“, di rivoluzionare il nostro sguardo e il nostro atteggiamento nei confronti di queste terre, di praticare un turismo il più possibile consapevole, di riconoscerne il valore e i significati e di superare l’idea della montagna come mero luogo di svago, totalmente disconnesso dalla nostra realtà quotidiana.
Montagne di mezzo. Una nuova geografia, Mauro Varotto, Einaudi, 2020, pp. 208.
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[…] visione urbana esterna al territorio alpino, che semplifica o tipizza uno scenario. Come illustra Mauro Varotto nel saggio Oltre gli immaginari dicotomici: spazi di relazione e inversione dello sguardo, […]
[…] di nevicate, il manto bianco tende a sciogliere piuttosto in fretta. Inoltre, come per tutte le montagne di mezzo, è costellata di antiche mulattiere e sentieri che un tempo collegavano le varie e numerose […]
[…] ben il 74% della superficie montana italiana. Da un punto di vista storico-culturale, questa fascia di territorio è stata lungamente abitata e “addomesticata” dall’uomo, che ha saputo sfruttare a proprio favore le specificità geografiche (altitudine, pendenza, […]