Quanto si può conoscere la montagna? Si possono percorrerne i sentieri per una vita intera o tracciare nuove vie e ancora troveremmo nuove cose da scoprire e conoscere, di cui fare esperienza. La si può osservare con gli occhi della scienza, e ancora rimarrebbe un mistero.
Con poche parole è così che riassumerei il bellissimo libro di Nan Shepherd, La montagna vivente. Eppure è molto di più: non solo un racconto vivido e appassionato del massiccio dei monti Cairngorn, nella Scozia nordorientale, ma un viaggio all’interno di sé stessa in rapporto alla montagna.
La scrittrice scozzese ha trascorso la sua intera vita esplorando questi luoghi, percorrendoli in lungo e in largo, addentrandosi nelle sue profondità, scalando le sue vette, immergendosi nei suoi torrenti. Con le sue parole, ci mostra un piccolo universo severo eppure dotato di straordinaria bellezza, ci racconta gli elementi – roccia, aria, acqua, gelo – per poi passare alle piante, agli animali e agli uomini e alle donne che lo popolano.
La montagna è una e indivisibile, e roccia, suolo, acqua e aria ne fanno parte tanto quanto ciò che cresce dal suolo e ne respira l’aria. Sono tutti aspetti di una singola entità, della montagna vivente. La roccia che si disintegra, l’acqua che nutre, il sole che ridesta, i semi, le radici, gli uccelli, sono una cosa sola.
È stato definito un libro di alpinismo, eppure di alpinismo qui si trova ben poco. L’autrice sì, ci racconta delle sue escursioni e arrampicate sull’altopiano, ma va ben oltre la mera esperienza “sportiva”. È un racconto d’amore, estremamente sensuale: la montagna è vissuta intensamente con tutti i sensi e ogni pagina è pervasa di splendide descrizioni ricche di colori, profumi, suoni e consistenze.
I sensi vanno usati. Per l’orecchio, la cosa più vitale che si possa ascoltare qui è il silenzio. Il palato può gustare i frutti di bosco, ma chi può descrivere un sapore? Lo stesso vale per gli odori. Tutte le fragranze aromatiche e inebrianti non significano nulla a parole. Ma per me, sono occhio e tatto ad avere la potenza più grande. L’occhio porta l’infinito nella mia visione. Il tatto è il più intimo dei sensi. L’intera superficie sensibile della pelle ne è lo strumento, il corpo intero risponde alla pressione di forze incomparabilmente più possenti delle sue.
Un passo dopo l’altro, Nan Shepherd si muove negli spazi del Cairngorn entrando in contatto con la vera essenza della natura, degli elementi e di se stessa. Il camminare diventa contemplazione, un viaggio all’interno della vita e dell’Essere. Un libro da leggere e rileggere, da portare con sé lungo i sentieri a cui siamo più affezionati per imparare a osservarli e conoscere con occhi e animo sempre nuovi.
Adesso, credo, capisco almeno un poco perché il buddista si reca in pellegrinaggio su una montagna. Il viaggio stesso fa parte della tecnica attraverso cui si ricerca la divinità. È un viaggio dentro l’Essere; perché mentre penetro in profondità nella vita della montagna, penetro anche nella mia. Per un’ora sono oltre il desiderio. Non è estasi, non è quel balzo fuori dal sé che rende l’uomo simile a un dio. Io non sono al di fuori di me ma dentro di me. Sono. Conoscere l’Essere. È questa l’ultima grazia accordata dalla montagna.
La montagna vivente, di Nan Shepherd, Ponte Alle Grazie, 2018, traduzione dall’inglese di Carlo Capararo, pp. 180.
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