Piccolo non significa inutile o privo di interesse.
L’aggettivo piccolo è quello che, forse, ha meglio caratterizzato la storia delle nostre montagne: piccole comunità di persone che vivevano e lavoravano nel territorio alpino, collaborando, spinti dalla necessità di sopravvivere, per creare condizioni di autosufficienza. Erano persone che seppero adattarsi alle difficili condizioni che le montagne imponevano, che seguivano i ritmi dettati dalla natura e dal susseguirsi delle stagioni. Un’esistenza “piccola” a cui oggi, alcuni di noi, guardano con desiderio, non senza un pizzico di ingenuità.
Ma cosa si intende per banalizzazione della montagna?
La globalizzazione del turismo
La montagna svuotata
Spesso, quando accompagno in escursione, noto lo stupore delle persone quando scoprono borgate e ruderi lungo i sentieri. Il commento più usuale è che non ci si aspettava di trovare delle case proprio lì, così in alto e in mezzo ai boschi, in luoghi decisamente scomodi da raggiungere. La visione contemporanea delle terre alpine è infatti associata, da un lato, a luoghi “selvaggi” di natura incontaminata e ameni villaggi alpini e, dall’altro, a grandi comprensori sciistici e luoghi di performance sportiva. Entrambi sono stereotipi della montagna che hanno dapprima svuotato le Alpi (sia in termini di popolazione che di significati e valori) e poi riempite con nuovi modelli di fruizione/sfruttamento. In pratica, le Alpi sono diventate, soprattutto nel corso del Novecento, mero luogo di loisir del cittadino, che rimane sorpreso quando scopre le tante storie, culture, lavori, lingue e tradizioni legate a questi territori.
L’economia e il turismo hanno giocato un ruolo fondamentale nella costruzione di questi immaginari: l’industrializzazione e il boom economico del secondo dopoguerra hanno svuotato le montagne dei suoi abitanti, che cercavano migliori condizioni di vita e agio; il turismo, invece, le ha parzialmente ripopolate con cittadini che fuggono dallo stress della vita urbana, in cerca di esperienze sempre più uniche e personalizzate.
La globalizzazione del turismo
Negli ultimi decenni, i processi di globalizzazione hanno avuto un forte impatto su questi due settori. L’e-commerce, con i grandi colossi delle multinazionali, ha fagocitato il piccolo commercio, così come tempo prima avevano fatto i centri commerciali con i negozi e le botteghe. Nel settore turistico, l’avvento di app e piattaforme attraverso le quali prenotare alberghi, B&B o appartamenti, ha imposto una perdita di guadagno sempre maggiore delle piccole realtà di accoglienza. Allo stesso modo, nel settore della ristorazione sta crescendo una dipendenza dal cibo d’asporto e dal delivery, banalizzando e disumanizzando un ambito tradizionalmente votato alla socialità e allo scambio.
Stessa cosa infine per le “esperienze”, termine ormai abusato nel settore turistico. Ha cominciato Airbnb, con la proposta di eventi e tour proposti da host locali in grado di “arricchire” la propria vacanza. Ora stanno nascendo e diventando sempre più popolari piattaforme digitali attraverso le quali conoscere nuove persone, organizzare o partecipare ad eventi privati.
La banalizzazione della montagna
Se a primo acchito tutto ciò sembra c’entrare poco con la montagna, in realtà il collegamento è più stretto di quello che si possa immaginare. Queste nuove tendenze riguardano anche le terre alte e sono figlie dei processi di svuotamento e banalizzazione avvenuti nella seconda parte del Novecento, frutto di una visione subordinata e marginale dei territori alpini.
Tutto si consuma dietro lo schermo di un computer, di un tablet o di uno smartphone. I legami tra le persone vengono ulteriormente recisi. Si va a caccia di “esperienze” da condividere sui social, di commenti, di to-do list da completare entro una certa data o età. Si cerca il gruppo più numeroso e più cool in cui fare nuove conoscenze o la località più in voga al momento da catturare nelle stories. In questo consumo sfrenato della montagna (che sia sugli sci, lungo una via ferrata o in escursione poco importa) si presta ben poca attenzione alle persone che hanno scelto di vivere e lavorare in questi luoghi, tra mille difficoltà. Piccoli B&B, ristoranti, rifugi, aziende agricole, guide.
Una vera e propria banalizzazione della montagna, delle persone che la abitano, delle professioni che esercitano, della storia e della cultura locali. Un fruizione lenta può contribuire a invertire questo processo, ma deve soprattutto essere un turismo responsabile.
La filosofia del piccolo
Recentemente mi è stato suggerito di proporre le mie escursioni su una di queste piattaforme digitali, perché “ci metti qualche foto carina, una bella descrizione accattivante e simpatica e fai il pienone”. Preferisco aderire alla filosofia del piccolo. Prediligo accompagnare gruppi poco numerosi: economicamente poco vantaggioso, certo, ma umanamente arricchente. È una filosofia che ben si addice alla vita che ho scelto di vivere e alla professione che esercito,ma soprattutto si addice alla fruizione della montagna che cerco di trasmettere a chi decide di affidarsi a me per le proprie escursioni.
Il mio non vuole essere un attacco alle nuove tecnologie o alla “modernità”: il digitale ci permette di fare cose prima impensabili e ha risolto tanti problemi. Così come è giusto che ognuno scelga il proprio modo di vivere e fruire della montagna. L’importante è farlo consapevolmente, senza rincorrere numeri o mode, senza banalizzare un mondo così complesso e variegato come la montagna.
Per chi volesse approfondire il tema del turismo e dei relativi processi di disumanizzazione, consiglio la lettura dell’articolo di Daniele Pieiller, L’adattamento del turismo, pubblicato sulla rivista Dislivelli, n. 108, pp. 40-44.
Comment
[…] La narrazione di una montagna incontaminata, ha radici profonde nella nostra società e cultura. Questa visione risale infatti al processo di riscoperta delle Alpi, iniziato nel Settecento e giunto al suo culmine nel periodo Romantico e durante tutto l’Ottocento, quando le montagne sono diventate oggetto di contemplazione e silenzio, luogo del sublime, in una visione estetizzante e totalizzante. Una visione e una narrazione che separavano nettamente le terre alte dalla città: se quest’ultima, infatti, era il luogo della corruzione, del degrado sociale e morale, dell’insalubre, le montagne erano all’opposto luogo di coinvolgente bellezza, di purezza, di elevazione spirituale. […]