L’autunno invita a scendere di quota, camminare nei boschi e immergersi nei colori caldi della stagione. A me piace tornare in Val Sangone, una valle che apprezzo in tutte le stagioni, ma che tra ottobre e novembre regala scenari da cartolina. L’itinerario che ho scelto per una delle mie escursioni novembrine è stato un percorso ad anello che tocca due bellissimi punti panoramici – e non solo – del Vallone del Sangonetto: il Roc du Preve e Pian Goraj.
L’itinerario può essere “composto” un po’ come si vuole: i sentieri sono diversi e si possono costruire escursioni “su misura” a seconda di quanto si desidera camminare. La partenza è la borgata Tonda di Coazze e qui subito si presentano almeno tre possibilità: seguire il sentiero per Pian Goraj, salire direttamente al Roc du Preve oppure raggiungere il Colle Bione. Io volevo allungare un po’, così ho scelto la terza opzione e sono salita al Colle Bione seguendo dapprima strade sterrate e poi sentieri immersi in bellissimi boschi di castagno e faggio (anche qui ci sono più possibilità di sentieri).
Spartiacque tra la Val Sangone e la Valle di Susa, il Colle Bione ospita una deliziosa chiesetta dedicata alla Madonna della Neve costruita nel 1900. Siamo ora sul Sentiero dei Franchi, un itinerario escursionistico di più giorni che ricrea idealmente il passaggio di Carlo Magno e le sue truppe nel 774 per aggirare l’esercito longobardo. Da un punto di vista storico, il Colle e l’area circostante – come molte altre nelle vallate alpine piemontesi – fu scenario di scontri tra partigiani e nazifascisti durante il secondo conflitto mondiale. Tra i numerosi, un cippo eretto nel 1985 ricorda l’attacco avvenuto il 10 maggio 1944, nel quale persero la vita molti combattenti della Valsusa e della Val Sangone.
Dal Colle Bione percorro un tratto del Sentiero dei Franchi fino al Roc du Preve, un’imponente bastionata rocciosa che offre un impareggiabile panorama sul vallone e sulla pianura. Mi godo la vista e osservo le ripide pareti di gneiss sulle quali sono state attrezzate alcune vie di arrampicata. Proseguo lungo la dorsale e raggiungo il Colle Bè Mulè, dove mi fermo per il pranzo. La luce autunnale mi scalda la pelle e i rami dei larici si muovono lievi con il vento. Intorno a me, una calma profonda, un silenzio che invita a respirare più lentamente e a restare presente al luogo.
Chi volesse proseguire, da qui il sentiero continua verso Pian dell’Orso e, più su ancora, il Colle del Vento. Io invece, questa volta, scendo: imbocco il ripido tracciato nella faggeta fino al rio Pairent, non sempre semplice da individuare, quindi meglio tenere d’occhio le tacche rosse e bianche su tronchi e pietre. Al rio si attraversa il ponte di legno — oppure si guada, come ho fatto io — e si risale per un tratto fino a raggiungere lo splendido pianoro pascolivo di Pian Goraj. Tra queste morbide ondulazioni d’erba sorge la cappella della Madonna delle Grazie, costruita nel 1920 per volontà della famiglia Bramante, grata per il ritorno illeso dei figli dalla Prima Guerra Mondiale. Il luogo conserva anche una leggenda: si racconta che Carlo Magno e il suo esercito, scendendo da Pian dell’Orso per aggirare i Longobardi, si sarebbero messi a giocare a bocce; richiamati dal re, avrebbero nascosto le loro bocce d’oro sotto terra, convinti di poter tornare a riprenderle.
Nessuna traccia di bocce d’oro, è vero, ma ho trovato qualcosa di ancora più prezioso: i larici accesi di luce dorata nel pomeriggio radente, un bagliore caldo che mi ha colmato l’anima e il cuore di una gioia quieta, piena di gratitudine.
Lascio Pian Goraj e la vista sull’alto Vallone del Sangonetto incorniciato da Monte Pian Real, Punta Costabruna e la Rocca del Montone. Attraverso di nuovo il rio Pairent e mi inoltro sulla mulattiera che riporta a borgata Tonda. Lungo il rientro incontro la Rocca del Gias, una curiosa formazione di gneiss che custodisce un grande blocco roccioso spostato e ruotato rispetto al basamento, probabilmente a causa di antichi movimenti tettonici. Si riconoscono anche le tracce dell’antico ghiacciaio, che con il suo passaggio ha levigato le superfici e lasciato sottili striature orizzontali.
E, naturalmente, non mancano le leggende. La prima racconta che Sansone abbia trasportato l’enorme masso sulla schiena: a testimoniarlo, si direbbero le lunghe scanalature lasciate dalle corde di ferro e una rientranza dove avrebbe appoggiato la testa. La seconda parla invece di un tesoro nascosto nel cuore del masso, la cui parete si aprirebbe lungo una fenditura a mezzanotte precisa del giorno di San Giovanni, il 24 giugno.
Proseguendo lungo la mulattiera si raggiungono Case Sisi e Dogheria, dove le antiche abitazioni in pietra, un tempo fulcro di piccole comunità, giacciono ormai in rovina. Di quei nuclei vitali restano solo muri sbrecciati e ruderi. A Dogheria, in particolare, le strutture sono molto instabili: meglio aggirarle, evitando di passare o sostare nei pressi, per il rischio concreto di crolli.
Continuo a camminare su dolci pendenze, quasi in piano, e, seguendo le pieghe delle montagne, raggiungo infine borgata Tonda, punto di partenza e arrivo di questa bellissima escursione a media quota. Un itinerario vario, nei paesaggi e nelle storie: passo dopo passo si ripercorrono ere geologiche, scontri e combattimenti, atti di fede e devozione, storie di vita contadina e leggende che alleggerivano il peso e la fatica del lavoro tra queste montagne.











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