Ultimamente mi sono spesso ritrovata a pensare a cosa renda preziosa un’escursione: il numero di chilometri percorsi? Il dislivello superato? La quota raggiunta? Domande legittime, se pensiamo a come la montagna viene spesso raccontata oggi: attraverso numeri, performance, conquiste. Basta infatti scorrere i canali social per accorgersi di una tendenza sempre più diffusa: trasformare l’esperienza in natura in una gara continua, dove ciò che conta è mostrare quanto in alto, quanto lontano, quanto difficile sia stato il percorso intrapreso.
Eppure, se ci fermiamo un momento a riflettere, scopriamo che questi criteri raccontano solo una parte, e forse la meno interessante, del cammino.
La montagna oltre i numeri
Ridurre un’escursione a dati tecnici significa guardare alla montagna con la stessa logica con cui si valuta una mera prestazione sportiva. Certo, distanza e dislivello hanno la loro importanza pratica: servono a capire l’impegno richiesto, a orientare la scelta in base alle proprie capacità, a garantire sicurezza. Ma se li usiamo come unico metro di giudizio, perdiamo di vista ciò che rende un’escursione significativa.
Sui social, spesso il protagonismo si sposta dall’esperienza alla persona: la montagna diventa sfondo, cornice di una performance personale. Il percorso o la cima non sono più fine, ma pretesto: strumenti per mostrare la nostra forza, determinazione o originalità. In questo passaggio sottile, ma potente, il senso del camminare cambia. Non è più la montagna che ci parla, siamo noi che cerchiamo di parlare sopra di lei. Così, alle voci del vento e dell’acqua, sostituiamo le nostre immagini curate, ai silenzi dei boschi preferiamo l’eco digitale dei like.
Eppure la vera forza di un’uscita in natura sta proprio nel ribaltare questo schema: lasciare che il protagonismo non sia nostro, ma del paesaggio che attraversiamo. Accettare di non essere il centro della scena, ma parte di un intreccio più ampio. La montagna non ha bisogno di essere conquistata o raccontata a tutti i costi; chiede piuttosto di essere vissuta, ascoltata, condivisa con rispetto.
Il valore di un’escursione non si misura con i parametri di un altimetro, ma con la capacità di lasciare che sia la natura a guidare il ritmo, a ispirare meraviglia, a restituirci il senso di appartenenza a qualcosa di più grande.
Esperienza e relazione
Camminare o pedalare in ambienti naturali significa aprirsi a una relazione: con il paesaggio e l’ambiente attraversato, con chi accompagna i nostri passi, con noi stessi. Un’escursione “vale” per la bellezza che riesce a suscitare, per la capacità di farci osservare con occhi diversi ciò che ci circonda, per il tempo che ci regaliamo per rallentare e ascoltare.
Un sentiero semplice, percorso senza fretta, può lasciare più tracce interiori di un itinerario impegnativo affrontato con la sola preoccupazione di dimostrare qualcosa. È la qualità dell’attenzione che porta valore: il saper cogliere una sfumatura di luce, un suono, un dettaglio che racconta la vita del luogo.
Il valore di un’escursione: una misura invisibile
Se volessimo allora individuare un’unità di misura, potremmo parlare di benessere, di emozioni, di consapevolezza. Quanti pensieri si sono chiariti lungo la salita? Quanta leggerezza abbiamo sentito durante il cammino o la pedalata? Quanta gratitudine è rimasta con noi, anche una volta tornati a casa?
Questi sono parametri meno “spendibili” sui social, perché invisibili e personali. Eppure, sono proprio quelli che fanno dell’escursione un’esperienza trasformativa e non solo fisica. Il valore di un’escursione non è qualcosa che possiamo contare, ma solo custodire: risiede nella capacità di lasciarci cambiare, anche solo un poco, dal cammino che abbiamo fatto.
Ogni passo in natura non è un record da archiviare, ma un’occasione per ricordarci che non siamo sopra la montagna, né davanti a lei come spettatori, ma dentro di essa, parte di un tutto più grande.
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