Nel corso della storia, in particolare da quando hanno iniziato a essere oggetto di interesse intorno al 1600, le Alpi non hanno mai smesso di essere guardate, raffigurate, percorse: un immenso repertorio iconografico ed estetico che nel corso del tempo ha costruito un immaginario collettivo alpino, un’immagine della montagna che tutti noi richiamiamo alla mente quando frequentiamo o pensiamo alle terre alte.
Gli sguardi che hanno osservato la montagna – e che tutt’oggi la osservano, noi inclusi – ne hanno sempre restituito narrazioni che non sono mai neutrali. Che ci piaccia o no siamo eredi del Romanticismo, di quella visione estetica delle Alpi legata al sublime, in cui le montagne sono selvagge, impervie, solitarie e il sentimento prodotto da questa natura così ostile e imponente è un’impressione straniante, vertiginosa e al contempo di meraviglia.
Vi suona famigliare? Quante volte leggiamo o parliamo di “montagna incontaminata e selvaggia“? Saliamo in quota e cerchiamo ancora il sublime, con il nostro sguardo vediamo le guglie appuntite ma ignoriamo il prato da pascolo o da sfalcio su cui stiamo camminando. E se vediamo quest’ultimo, ecco che inevitabilmente evochiamo Heidi con le sue caprette. Si crea così un’immagine della montagna legata alla nostra percezione e a ciò che stiamo cercando: uno sguardo tutt’altro che neutro, bensì carico di stereotipi alpini.
Facciamo un piccolo gioco. Mettiamo a confronto queste due fotografie, scattate dallo stesso luogo.
Le due fotografie evocano suggestioni e sentimenti ben distinti: la prima è carica di emotività, con la scelta del bianco e nero e il taglio che include la cima rocciosa illuminata a sprazzi e buona parte del cielo, con le sue nuvole cariche di pioggia; la seconda ci restituisce l’immagine di un ameno paesaggio alpino, molto vicino a quella visione di Heidi con cui siamo cresciuti. Stesso luogo, inquadrature e scelte cromatiche diverse.
Dietro la macchina fotografica, così come dietro alla fotocamera nei nostri smartphone, si cela uno sguardo che non è mai innocente ma che ci restituisce un’immagine ben precisa, abitata e virata da premesse emotive e culturali. Un’immagine della montagna che ci racconta molto di noi e di come vediamo le terre alte.
Chi cerca la pace e il silenzio, chi lo straordinario e l’inarrivabile, chi la libertà. Luoghi comuni che parlano di noi, della nostra emotività, del nostro bagaglio culturale e di una nostra personale ricerca che poco ha a che vedere con la montagna per sé. Questo piccolo e semplice gioco di immagini è un invito ad andare oltre il luogo comune, a camminare cercando le tracce dell’antichità e delle sue culture, a ragionare in termini di conoscenza piuttosto che di dislivelli e forza, a essere curiosi, attenti e consapevoli nei confronti di ciò che ci circonda.
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[…] che l’occhio che guarda il paesaggio è importante tanto quanto il paesaggio stesso, poiché lo sguardo modifica il paesaggio: il mondo viene descritto attraverso i libri e noi siamo influenzati dalla narrazione. Siamo gli […]