Fin dalla sua nascita, la bicicletta è stata senza ombra di dubbio un mezzo rivoluzionario, simbolo di libertà ed emancipazione, che ha portato scompiglio e che ha alimentato accesi dibattiti. Così si potrebbe brevemente sintetizzare il libro Storia sociale della bicicletta, scritto da Stefano Pivato ed edito da Il Mulino.
Professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università degli Studi Carlo Bo di Urbino, Pivato ha dedicato un bellissimo volume all’avventurosa e controversa storia della bicicletta in Italia. Come per il libro di Paolo Pileri, anche questo testo l’ho scovato durante i miei studi e le mie ricerche universitarie, e anche questa lettura non ha deluso le aspettative.
La bicicletta fa paura
Fin dalla sua prima apparizione in Italia, la bicicletta è stata guardata con sospetto e paura. Simbolo della modernità incalzante, per la prima volta nella storia l’uomo scende da cavallo per salire in sella alle due ruote, capaci di aumentare la sua velocità di ben quattro volte. Non a caso la bicicletta è spesso associata all’immagine del volo in annunci pubblicitari, romanzi, poesie e racconti. Se per alcuni la velocità rappresenta una minaccia, per altri invece è sinonimo di libertà.
Non solo veloce, la bicicletta porta scompiglio nella postura del corpo e nelle vesti che svolazzano al vento. A preti, militari e qualsiasi uomo con una carica pubblica viene proibito usare questo mezzo che impone una postura ridicola e scompone divise e abiti talari. Piegare il corpo in avanti è considerato sconveniente e indecoroso: all’uomo perbene non si addice affatto pedalare.
Arrivata come un vero e proprio tornado in una società rimasta pressoché immutata per secoli, soprattutto nell’Italia meridionale, la bicicletta rompe la monotonia, rivoluziona usi e costumi, scombussola l’ordine sociale:
[…] l’antimodernità è una categoria dentro la quale stanno gran parte delle motivazioni che si oppongono alla bicicletta. Vi è la paura delle genti di campagna quando vedono per la prima volta il mostro meccanico; così come è il timore della chiesa per il ridicolo e la mancanza di decoro cui si espongono i preti che montano le due ruote. Dentro l’antimodernità ci sta anche la tutela della pudicizia che è alla base delle limitazioni e dei divieti posti alle donne. E così pure l’iniziale rifiuto del movimento operaio per la bicicletta considerata «un prodotto del capitalismo borghese». E il rifiuto finisce per generare anche sentimento di paura.
Donne e biciclette: l’emancipazione va a pedali
Cosa dire delle gonne in disordine, della postura a cavallo della sella che evoca immagini perturbanti, della postura che impone l’abbandono del corsetto? Per non parlare poi dell’indossare i pantaloni, capo di abbigliamento indiscutibilmente maschile!
L’ostilità per la bicicletta aumenta a dismisura quando sono le donne a rivendicare il diritto di utilizzarla. Il mezzo alimenta accesi dibattiti: se da un lato sconvolge e scandalizza l’opinione perbenista, dall’altra diventa simbolo di emancipazione e del nascente movimento femminista. Grazie alla bicicletta le donne non solo si liberano di vesti che costringono e soffocano il corpo, ma diventano indipendenti e libere di muoversi in autonomia.
Ciò che sconcerta la mentalità tradizionale è il fatto che la donna, da sempre accompagnata dall’uomo nei suoi spostamenti (a piedi, in carrozza, in treno), sulla bicicletta può andare sola. Si tratta quindi di un passo verso l’indipendenza.
La possibilità per le donne di andare in bici, apre inoltre il confronto sulla questione dell’educazione fisica e della pratica sportiva, del tutto assente nella formazione femminile. Fino a quel momento, alle donne non veniva insegnato, tantomeno concesso, muovere il corpo, figuriamoci partecipare a competizioni sportive. La morale cattolica e conservativa vuole il corpo femminile nascosto da occhi indiscreti, coperto da strati di tessuto, immobile. L’andare in bicicletta anche qui rompe gli schemi e diventa una battaglia per la parità dei sessi.
La bicicletta è politica
La questione sociale è anche e soprattutto questione politica. La storia della bicicletta attraversa tutti i grandi accadimenti del Novecento: il socialismo di inizio secolo, il femminismo, la Grande Guerra, le lotte del movimento operaio, la Resistenza con le staffette partigiane, per arrivare fino a oggi al movimento ecologista.
Oggi come ieri, le due ruote sono simbolo di rinnovamento. Scegliere di pedalare oggi significa rispettare l’ambiente e chiedere che venga salvaguardato e protetto, significa protestare contro i combustibili fossili e l’inquinamento atmosferico, significa chiedere vie lente, più attente alla dimensione umana. La bicicletta diventa oggi simbolo di un nuovo umanesimo ecologista, come afferma il filosofo francese Marc Augé.
In definitiva l’antico velocipede nato come simbolo della modernità della prima rivoluzione industriale italiana si trasforma, sul finire del Ventesimo secolo, in un emblema dell’antimodernità.
Storia sociale della bicicletta è una lettura piacevole che ripercorre la storia italiana attraverso le due ruote, consigliato agli amanti del mezzo, agli sportivi appassionati (non mancano certo riferimenti alla nascita del ciclismo sportivo in Italia, nonché a Coppi e Bartali) e a tutti i curiosi che desiderano scoprire cosa ha rappresentato, e rappresenta, pedalare.
Storia sociale della bicicletta, Stefano Pivato, Il Mulino, 2019, pp. 280.
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