Poco prima del secondo lockdown dell’anno, ho avuto l’enorme piacere di poter accompagnare durante un sopralluogo Sabrina Marsili, un’amica guida escursionistica ambientale, che mi ha fatto scoprire il bellissimo Vallone del Roc.
Situato nella parte piemontese del Parco Nazionale del Gran Paradiso, il Vallone del Roc è un vallone secondario, isolato e anche un po’ dimenticato dalla maggior parte degli escursionisti. In realtà è una conca dal grande fascino, che in autunno regala colori caldi e un’ottima esposizione al sole.
Dopo aver superato Noasca, lasciamo l’auto a frazione Balmarossa: da lì, seguiamo un sentiero molto ben segnato che, dopo uno strappo un po’ ripido, ci conduce a borgata Varda, la prima delle due borgate che si incontrano lungo il percorso. Quest’ultimo si chiama infatti “via delle alte frazioni” e racconta all’escursionista curioso le storie degli ultimi abitanti di queste borgate sperdute, di una vita di duro lavoro e fatica ma in sintonia con la montagna e la natura circostante.
Le tracce degli uomini e delle donne che hanno vissuto per secoli in questi luoghi sono ben evidenti intorno a noi: baite in pietra e legno, alcune ben ristrutturate come seconde case, muretti a secco, affreschi religiosi e piccole chiesette, terrazzamenti e anche una vecchia scuola in borgata Maison. Impossibile non fermarsi e affacciarsi alle sue finestre. All’interno, il tempo sembra essersi fermato: in funzione fino al 1962, ora è un museo (visitabile su prenotazione per gruppi organizzati) e conserva i vecchi banchi e la cattedra in legno, la lavagna, una stufa e persino dei quaderni.
Il sentiero ha una pendenza molto dolce con pochissimo dislivello, perfetto per assaporare questa bellissima giornata autunnale e immergersi nell’atmosfera di queste borgate alpine, immaginandole vive e operose come fino a qualche decennio fa.
Ma il Vallone del Roc ci riserva la sua sorpresa più bella alla fine del sentiero, quando si incontra la maestosa e scenografica cascata del Roc. È il luogo perfetto per fermarci a fare uno spuntino e scambiare due chiacchiere tra amiche. Intorno a noi, il rumore della cascata e della brezza tra gli alberi. Cerchiamo anche di avvistare qualche animale, ma non abbiamo fortuna.
Riprendiamo il sentiero a ritroso e ritorniamo alle auto, non senza qualche sosta ad ammirare la sapiente architettura alpina di queste borgate, perfettamente integrata nel paesaggio, modellato (ma mai domato) dall’uomo.
Un’escursione breve e mai difficile, ricca però di storie, troppo spesso accantonate e dimenticate. Forse perché non vogliamo ricordarci di un passato povero, faticoso, segnato da lunghi e rigidi inverni e tanto lavoro, tutti presi dalla corsa del progresso e della tecnologia. Erano tempi duri, non certo migliori: inutile idealizzare il passato, non fa bene a noi, né a questi luoghi. Ci riportano però a una dimensione più piccola e umana, fatta di poche cose semplici. E questo dovremmo tutti ricordarcelo più spesso.
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