– Perché vuoi stare qui se rimarremo senza lavoro, se non potremo più parlare tedesco, se distruggeranno il paese?
– Perché qui ci sono nato, Trina. Ci sono nati mio padre e mia madre, ci sei nata tu, ci sono nati i miei figli. Se ce ne andremo avranno vinto.
Mi è sempre difficile spiegare perché ho scelto di rimanere a vivere in un piccolo paese ai piedi delle Alpi, perché mi ostino a fare la pendolare ogni giorno tra la Valle di Susa e Torino e perché non potrei mai fare a meno di tornare a casa ogni sera e vedere i profili alti delle montagne a me così care. Ci sono mille ragioni per andarsene, molte meno per decidere di restare, e spesso queste ultime non vengono mai comprese a fondo da chi ha scelto la città.
Nel romanzo di Marco Balzano, Resto qui, ho ritrovato quello stesso mio attaccamento ai luoghi natii, descritto con estrema precisione e delicatezza. È un libro carico di emozioni, che racconta le vicende di Trina ed Erich, della loro vita a Curon, del fascismo e del divieto di parlare tedesco, della Seconda Guerra Mondiale e, al termine di quest’ultima, della costruzione della diga del lago di Resia. Le vite dei personaggi si intrecciano e subiscono la Storia senza tuttavia mai arrendersi, senza cedere alla tentazione di prendere la decisione più “facile”, ma scegliendo consapevolmente ogni volta di rimanere al maso, di non abbandonare il paese, la montagna.
Sono proprio le montagne a fare da sfondo a tutte le vicende. Se dapprima erano meta di lunghe passeggiate per accompagnare il bestiame agli alpeggi, durante la guerra diventano l’unica speranza di salvezza e sopravvivenza, per poi diventare infine risorsa da sfruttare per la produzione di energia elettrica.
La vicenda della distruzione del paese è riassunta sotto una pensilina di legno, nel parcheggio degli autobus delle agenzie di viaggio. Ci sono le fotografie della vecchia Curon, dei masi, dei contadini con le bestie, di padre Alfred che guida l’ultima processione… C’è anche un piccolo museo che apre di tanto in tanto per i pochi turisti curiosi. Di quello che eravamo non rimane altro.
È Trina a guidarci nella storia, la seguiamo attraverso i suoi occhi e le sue parole, che scrive pensando a sua figlia assente, scomparsa durante gli anni del fascismo:
Non ti racconterò la tua assenza. Non ti dirò una sola parola degli anni passati a cercarti, dei giorni sulla soglia a fissare la strada. Non ti dirò di tuo padre che senza salutarmi esce di casa […]. Non ti dirò dei mesi in cui ciascuno di noi all’improvviso scappava, senza avvisare gli altri, e tutti e tre trovando la casa vuota pensavamo che prima o poi i boschi ci avrebbero inghiottito. Persi per sempre nell’insensato tentativo di riportarti qui. Dove non volevi più stare.
Un libro che si legge tutto d’un fiato, dallo stile asciutto, a tratti duro, spigoloso e solo in apparenza privo di emozioni. Mescola con sapienza invenzione narrativa e fatti reali, senza mai cadere né in uno struggente sentimentalismo né nel documentaristico, portandoci a conoscere meglio le travagliate vicende storiche dell’Alto Adige e a capire che sommerso nel lago di Resia c’è molto di più del famoso campanile che spunta dalle sue acque.
Ed è bello che sia scritto dal un punto di vista di un personaggio femminile, perché la montagna e la Storia rimangono ancora troppo spesso universi prettamente maschili, in cui il secondo sesso è solamente evocato se non totalmente assente.
Resto qui, di Marco Balzano, Giulio Einaudi Editore, 2018, pp. 192.
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