Sempre più spesso si sente parlare di ritorno alla montagna e di “montanari”, sia sulla scia del Covid-19 che ha spinto più persone a frequentare le Alpi e ripensare i propri modelli e stili di vita, sia di libri e film di successo, uno su tutti Le otto montagne di Paolo Cognetti. Così come spesso capita di leggere su articoli in rete o sui quotidiani nazionali il termine “nuovi montanari”. Ma chi sono?
Un po’ di storia delle Alpi
Per capirlo, occorre fare un piccolo passo indietro e ripercorrere brevemente la storia dell’arco alpino. Dalla seconda metà del ‘900, le terre alte sono state considerate una shrinking region, ovvero una macro-regione in declino, marginalizzata e in rapido e costante spopolamento. Molte persone che vivevano in quelle aree geografiche, infatti, si sono trasferite in massa nelle zone di pianura e nelle grandi città alla ricerca di migliori condizioni di vita, in particolare i più giovani.
Tale fenomeno di spopolamento ha significato un allontanamento dalla montagna non solo fisico, ma anche simbolico-culturale: se da un lato le terre alte sono state sempre più marginalizzate con la mancanza di investimenti (ad eccezion fatta per il turismo invernale e i grandi comprensori sciistici), dall’altro le Alpi e le montagne sono state rappresentate come un luogo antitetico alla città, raccontate e vissute tramite stereotipi.
L’arco alpino è infatti stato rappresentato dai non-montanari in diversi modi: dalla “scoperta” delle Alpi nella seconda metà del ‘700, con le prime esplorazioni di scienziati, viaggiatori e naturalisti, al playground of Europe dell’800, con l’ascesa alla vetta come gesto fuori dal comune. Tuttavia, quando si parla di Alpi, è importante ricordare che questi territori non sono mai stati luoghi chiusi e sconnessi dalla pianura e dal mondo urbano. In particolare le “montagne di mezzo” sono da sempre state abitate da uomini e donne che, nel corso del tempo, hanno modificato e plasmato il territorio per poter lavorare e vivere, creando così un legame molto forte con le terre alte.
Lo stereotipo del montanaro
Così come le montagne, anche le persone che le hanno abitate e tutt’ora le abitano sono state spesso rappresentate da stereotipi, che vogliono il montanaro come una persona arretrata, ignorante, burbera e grezza. A chi non viene in mente il nonno di Heidi leggendo questa descrizione?
Un’altro stereotipo molto diffuso vede il montanaro come una persona non corrotta dagli stili di vita della città, che conduce uno stile di vita sano, puro, autentico. Il “buon montanaro” sarà anche burbero ma scoppia di salute (pensate alle alle guance rosse di Heidi), mangia cibo genuino, lavora e non ha grilli per la testa.
Nulla di tutto questo potrebbe essere più lontano dalla realtà. Sicuramente ci sono montanari che in parte rispecchiano queste descrizioni, ma attualmente la montagna è abitata da variegate tipologie e gruppi di persone che poco hanno a che fare con queste rappresentazioni
Nuovi montanari: chi sono?
Come accennato, negli ultimi decenni stiamo assistendo a rinnovati flussi di persone al di là dei turisti cittadini che invadono le più famose località turistiche alpine. Riprendendo la classificazione fatta da Andrea Membretti nel libro Metromontagna. Un progetto per riabilitare l’Italia, possiamo trovare i seguenti gruppi:
- Amenity migration: sono persone, anche straniere, attratte dai contesti montani per una migliore qualità della vita e per ambienti naturali di pregio. Generalmente hanno buone possibilità economiche, un’elevato grado di educazione e molto tempo libero. Sono residenti che si dividono tra la montagna e la città e restano in larga misura ospiti e non membri della comunità locale.
- Nuovi montanari o montanari per scelta: termine coniato da Giuseppe Dematteis, esso indica giovani con elevati titoli di studio e qualche risorsa economica da investire che scelgono di vivere e lavorare nelle terre alte. La motivazione è spesso legata alla sostenibilità ambientale e al desiderio di abbandonare la città.
- Aspiranti montanari: sono persone attratte dal contesto montano, che sognano una vita e un lavoro in montagna. Cercano di rispondere in vari modi al loro “bisogno di montagna”, partecipando a un universo culturale e comunicativo centrato sulle terre alte o preparando progetti di trasferimento.
- Montanari per necessità: questa categoria comprende i migranti stranieri che, spesso non potendosi permettere di vivere in città, abitano in zone montane. Questo tipo di insediamento ha impatti sul recupero di case sfitte o abbandonate e sul mantenimento di servizi in loco.
- Montanari per forza: sono richiedenti asilo o rifugiati provenienti da Paesi africani e asiatici costretti, loro malgrado, a vivere in montagna in attesa del riconoscimento del proprio status di protezione internazionale.
- Montanari per nascita: sono coloro che sono nati nelle terre alte, non solo anziani (come comunemente si pensa) ma anche giovani nati in montagna e che sono rimasti a vivere in questi territori, magari dopo un periodo di studio o lavoro in città o all’estero. Tra i montanari per nascita possiamo distinguere coloro che sono rimasti come scelta obbligata, perché in assenza di alternative, e i “volontariamente immobili”, ovvero coloro che hanno scelto consapevolmente di restare.
L’incontro tra urbano e montano
Questo scenario così variegato e complesso è portatore di nuovi legami e connessioni tra il contesto urbano e il contesto montano, che vede una ridefinizione dei rapporti tra pianura e terre alte. Queste ultime diventano uno spazio di possibilità multiple, un luogo di dialogo e scambio con la città, in cui possono nascere piccole imprese (soprattutto agro-pastorali e ricettive).
Le terre alte, grazie alla prossimità con la metropoli, possono così ritornare ad essere un territorio percepito, agito e vissuto come risorsa economica, sociale e culturale.
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