Meglio chiarire subito: se vi aspettare il “solito” libro di alpinismo, con resoconti dettagliati delle spedizioni, potreste rimanere delusi. Perché Nives Meroi, nel suo volume Non ti farò aspettare, ribalta completamente prospettiva.
Tra le più forti alpiniste del mondo, Nives Meroi, insieme al marito Romano Benet, ha scalato tutti i 14 ottomila senza ricorrere all’uso di bombole di ossigeno né portatori d’alta quota. In questo racconto autobiografico ha scelto però di narrare e condividere la sua scalata più difficile, de lei definito il suo “quindicesimo ottomila”: la malattia del suo compagno di vita e di cordata.
Il testo si divide in quattro atti e ognuno di essi porta con sé le riflessioni profonde di Nives Meroi, le sue domande, i suoi dubbi. Un racconto in montagna, di montagna e scalate, ma soprattutto un racconto di vita. Le montagne, le imprese della coppia, l’Himalaya e gli ottomila, si trasformano così nello sfondo di uno scenario di più largo respiro, più intimo e personale.
Nelle pagine del testo scorrono le vicende umane e personali della coppia, costretta ad affrontare l’imprevisto, l’inatteso: a poche centinaia di metri dalla cima del Kangchendzonga, la terza vetta più alta al mondo, Romano non si sente bene. Cosa fare? Salire da sola e continuare la corsa per diventare la prima donna al mondo ad aver scalato tutti gli ottomila, oppure rinunciare e tornare indietro? Nives non ha dubbi. Si torna indietro. Rinuncia al successo per amore del marito.
L’alta quota è un ambiente innaturale per la vita e richiede velocità nelle decisioni, una rapida analisi della situazione, funzionale al raggiungimento dell’obiettivo. L’importante è avere chiaro qual è. […] Saremmo in grado di scendere insieme, senza rischiare la nostra vita e quella delle persone che, forse, ci verrebbero ad aiutare?
E tutto questo solo per rincorrere il dodicesimo ottomila? E, per la prima volta dopo undici cime, non insieme?
“No, scendiamo insieme. Adesso. Non ti farò aspettare qui”
Di ritorno a casa, la diagnosi, aplasia midollare, apre un nuovo capitolo nella vita della coppia. Il tempo della malattia impone nuovi ritmi, nuove regole, ma soprattutto una presa di distanza dallo “show” del mondo dell’alpinismo. Ora si fanno i conti con i limiti del corpo, li si riconoscono, e, proprio come in montagna, si compie un passo dopo l’altro verso l’obiettivo, liberi dal superfluo e dall’impazienza, accettando il vuoto dell’attesa.
Nella sue parole, Nives Meroi non fa sconti. Si interroga sulla possibilità di un alpinismo al femminile differente, che non imiti gli uomini e la competizione, del “mito misurato in altezza”, ma che possa dare un senso nuovo alla performance senza per questo rinunciarvi:
Per guadagnarci il nostro spazio, noi lottiamo per diventare sempre più simili agli uomini: accettiamo modelli, regole e metri di valutazione che nascono dalla voglia di competere per affermarsi sugli altri, continuando a credere che non ci sia altra strada che essere uguali a loro.
Nel suo percorso di crescita personale, Nives si chiede cosa voglia davvero, cerca di dare un senso personale alle montagne che ha scalato, così come a quelle non salite. Ecco che l’alpinismo diventa un senso profondo di vita, un valore dell’essere umano, ben lontano dal vortice dell’alpinismo d’assalto e dalla pressione imposta dallo spettacolo, dai record e dalla graduatorie. Ma soprattutto, è un senso che nasce dalla condivisione con il marito, “due solitudini che si incontrano nel cammino verso la cima”.
Noi due non scaliamo le montagne solo per passione alpinistica, ma anche per portare lassù questa nostra alleanza. […] È un’intesa che mi dà coraggio e fa da combustibile all’energia che mia spinge anche quando lo sforzo del passo si fa brutale, o quando Romano mi stacca e va avanti da solo, e a me non resta che seguire le sue tracce. E non mi sento abbandonata, semmai preceduta da lui […]. La nostra è un’unione forgiata delle bufere e nell’ipossia dell’alta quota, fatta di silenzi e di gesti condivisi, e di una fiducia smisurata che non ha bisogno di parole: ognuno certo di volere il bene dell’altro, quanto il proprio.
Non ti farò aspettare è un libro che si legge tutto d’un fiato, le parole scorrono veloci ma lasciano il segno. Nives Meroi ci trasmette la sua esperienza in modo chiaro, sincero e leggero, ma non per questo superficiale. Condivide con noi lettori il suo grande amore per la montagna e per il marito, ci racconta delle sue spedizioni soffermandosi sulle popolazioni locali e sui villaggi incontrati durante le fasi di avvicinamento, del suo desiderio di toccare la bellezza. Un bel libro, adatto ad appassionati e non, che riporta l’alpinismo alla sua dimensione profondamente umana.
Non ti farò aspettare. Tre volte sul Kangchendzonga, la storia di noi due raccontata da me, Nives Meroi, Rizzoli, 2016, pp. 190.
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