La stagione invernale è perfetta per camminare lungo i numerosi sentieri sul versante orografico sinistro, ovvero quello a solatio, della Bassa Valle di Susa e scoprire tante bellezze naturali “nascoste”: il Sentiero dei Chouquè sopra Chianocco ne è un perfetto esempio.
Ma cosa sono i “Chouquè”? In piemontese il termine indica il campanile, ma a differenza di quanto si sia portati a immaginare, il sentiero non ci porta a visitare dei campanili, ma delle particolari formazioni rocciose, che prendono appunto il nome di “Chouquè” per via della loro forma.
Il terreno di questa parte di montagna, infatti, che prende il nome di Conca del Prebec, dall’omonimo rio che la attraversa, è composto per lo più da detriti di falda depositati dall’azione fluvio-glaciale. Nel corso del tempo, i fenomeni di erosione hanno creato queste curiose sagome di terra e roccia.
L’itinerario da me scelto per l’escursione parte dalla frazione di Pavaglione, splendido balcone panoramico sulla bassa valle, da dove si imbocca un facile e piacevole sentiero che porta vergo borgata Margrit. Tuttavia, ben prima di raggiungere la borgata, si prende una deviazione e ci si addentra in una bellissima faggeta. La pendenza è più impegnativa senza però essere troppo faticosa. Lungo questo tratto è possibile ammirare gli alti faggi, con i loro tronchi lisci dal suggestivo color argenteo, creando in questa stagione un magnifico contrasto cromatico con il caldo arancione delle foglie a terra.
Percorrendo il sentiero si incontrano qualche rudere e un canale per l’acqua, testimoni di quanto un tempo la mezza montagna fosse brulicante di vita e lavoro. Dalla faggeta si passa alla pineta e si arriva alla piccola borgata di Strobiette, dove ci si può fermare per una pausa panoramica sia sulla valle che sulle montagne che circondano la Conca del Prebec.
Da qui, si può proseguire più in alto, oppure ignorare i cartelli che indicano il proseguimento del Sentiero dei Chouqué e imboccare un sentiero che, in breve, tempo, porta direttamente al Chouquè dei Margrit, che prende il nome dalla borgata presso cui sorge.
Bisogna prestare un po’ di attenzione, occorre guardare attraverso i rami e il fogliame per riuscire a scorgerlo; una volta visto, però, si rimane di certo colpiti dalla sua forma e dalla sua imponenza, ma anche dalla sua fragilità e transitorietà. Tutto in natura evolve, si trasforma, e davanti a queste formazioni possiamo immaginare il lavorio incessante dell’acqua sulla roccia e sul terreno, che continua e ancora continuerà in futuro, modificando ulteriormente questo ambiente naturale.
Dai Margrit si può scegliere se tornare direttamente a Pavaglione, seguendo una facile strada sterrata, oppure imboccare la strada asfaltata per proseguire vero borgata Molè. Ovviamente, scelgo la seconda opzione. Si cammina fino a Molè, poi si scende verso Malacombette e ci si addentra nuovamente nel bosco. Qui, appena imboccato il sentiero 541/A, si può scorgere tra la boscaglia quel che resta di un vecchio mulino, il Mulino Bicera. In poco tempo si raggiungono altri ruderi, quella della chiesetta di Madonna dei Campi, e si ritorna infine a Pavaglione, chiudendo l’anello.
Lungo questo tratto, si vedono ancora dei terrazzamenti, che, insieme ai resti del mulino e al nome della chiesetta, ci dicono che qui un tempo i terreni erano coltivati (patate e segale soprattutto). Camminare è anche questo, osservare con attenzione e imparare a leggere quel che il paesaggio ci racconta della sua storia e delle persone che lo hanno plasmato nel corso del tempo.
Leave A Reply