Mio rivolgo a tutte noi donne: quante volte avete ricevuto gli auguri oggi, 8 marzo? Erroneamente considerata “Festa della Donna”, riceviamo messaggi, GIF e fiori nei toni del giallo, poi il giorno seguente tutto torna esattamente come prima. La Giornata internazionale della Donna, al contrario, dovrebbe essere un momento di riflessione sul ruolo che abbiamo all’interno della società, sui pregiudizi e sui diritti che ci coinvolgono direttamente, ma anche su noi stesse come, prima di tutto, persone. Una riflessione che coinvolge tutti gli aspetti della nostra vita, nessuno escluso. Così, se l’anno scorso ho parlato di montagna al femminile, quest’anno allargo il raggio scrivendo di donne e sport.
Il mondo dello sport è stato fin dall’inizio costellato di pregiudizi nei confronti del genere femminile. Praticare attività fisica per le donne era impensabile, considerato dannoso per la loro salute e contrario alla loro natura passiva, delicata e materna. Fare sport, d’altronde, richiede forza, tenacia, resistenza e determinazione, qualità prettamente maschili.
Nei secoli passati, la donna è stata relegata unicamente al ruolo di moglie devota e madre amorevole. Ma siamo davvero solo questo? Sembrerà banale chiederselo ancora oggi, nel 2024. Eppure pensiamo a quante donne nel mondo sono precluse l’istruzione o la possibilità di andare in bicicletta. E nel nostro mondo occidentale, le cose sì vanno meglio, ma siamo ben lontane dall’inclusione e dalla parità di genere, anche in ambito sportivo. Secondo una ricerca dell’UNESCO, nonostante il numero crescente di donne che praticano sport, la copertura mediatica sportiva a loro dedicata è solo del 4%. Inoltre, delle donne si parla più del loro aspetto fisico o della loro vita sentimentale e familiare che delle loro capacità atletiche. Ben diverso, invece, quando i campioni sono gli uomini, pienamente apprezzati come atleti e rappresentati come forti e indipendenti.
Le cose, per fortuna, stanno pian piano cambiando. Per la prima volta nella storia, i Giochi Olimpici di Parigi 2024 vedranno gareggiare lo stesso numero di donne e uomini. Un bel salto in avanti, e non solo in termini temporali, rispetto all’Antica Grecia, quando ai primi Giochi della storia, nel 776 a.C., non solo le donne non potevano partecipare alle gare, ma nemmeno accedervi come spettatrici. Non andò molto diversamente ai primi Giochi moderni, tenutisi ad Atene nel 1896, dove fu preclusa la partecipazione femminile: alle donne spettava il solo compito (e il dovere) di applaudire e sostenere gli sforzi degli uomini.
Se oggi molte di noi si distinguono nello sport, e un numero sempre maggiore lo pratica sia a livello amatoriale che professionistico, è perché ci sono state donne che, nel corso della storia, hanno sfidato stereotipi, pregiudizi e norme sociali. Donne coraggiose, che hanno creduto di poter essere qualcosa in più, di poter andare oltre i limiti imposti. Donne come Alfonsina Strada, che per prima partecipò alle gare di ciclismo e corse al Giro d’Italia nel 1924; o come Kathrine Virginia Switzer, che per prima corse la maratona di Boston nel 1967, iscrivendosi alla competizione con le sole iniziali.
Ogni donna che pratica sport è un esempio e un modello per tutte. Ci danno un’immagine diversa di femminilità e di corpi, forti, muscolosi, tonici, ben lontani da quelli proposti dalle copertine delle riviste patinate; ci ricordano che la passione, la volontà e la determinazione abitano in ognuna di noi, che gli obiettivi che possiamo raggiungere nella vita sono tanti, così come i limiti che possiamo superare.
Fare sport è una strada che ci conduce verso l’autonomia e l’emancipazione, verso il riconoscimento del nostro valore. Un riconoscimento che deve partire prima di tutto da noi stesse, prima ancora che da sguardi esterni. Solo così potremmo davvero essere libere.
Leave A Reply