In questi ultimi mesi mi sono chiesta spesso perché camminassi, cosa mi spingesse davvero a calzare gli scarponi e trascorrere diverse ore – molto spesso solitarie – in montagna, lungo sentieri già noti o percorrendone di nuovi.
La risposta sembra facile, quasi banale: perché mi piace la montagna. Vero, eppure non è tutto.
Sono nata ai piedi delle Alpi e finora ho sempre vissuto con l’orizzonte ingombro di cime, ma per molto tempo sono rimaste per lo più una cornice, un abbellimento guardato con un certo distacco e raramente esplorato. Poi un giorno tutto è cambiato.
Se so bene perché ho iniziato a mettere un piede davanti all’altro e salire in quota, meno chiare sono le motivazioni che mi hanno spinto a continuare.
La passione – sopita per anni – era esplosa, ma si mescolava a tante altre emozioni. Ho trascorso mesi a camminare cercando la ragione più profonda di quei passi. Ho dovuto scremare quel turbinio di pensieri e sentimenti, “subire” stop più o meno forzati per capire quanto le montagne mi mancassero, per poi tornare a calpestare irti sentieri e ritrovare in me una felicità pura.
Forse ciò che mi spinge è la ricerca di questa felicità primitiva, il ritrovare una dimensione essenziale e profondamente umana, e proprio per questo fatta di limiti, a volte superati e superabili, a volte no.
Camminare significa dialogare con se stessi, riprendere i fili interrotti dalla quotidianità e dalle sue mille incombenze. Significa soprattutto continuare a domandare e cercare, senza dover trovare una risposta ad ogni costo.
{Scatti realizzati salendo al Col Chabaud, in alta Val Susa, e al Santuario di San Besso, in Val Soana}
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